sabato 18 aprile 2020

EMERGENZA RUGBY - Dubbi e speranze del dottor Niccolo' Gori


Dottor Niccolò Gori: "necessario pensare ad un nuovo modello di rugby post coronavirus"

Mettere definitivamente la parola fine al coronavirus è un procedimento dai tempi ancora incerti, ma i club sportivi esattamente come le aziende iniziano a pensare soluzioni di ripristino delle attività.
In questo scenario inedito abbiamo chiesto un contributo al Dottor Niccolò Gori che grazie alla sua esperienza ha uno sguardo d'insieme utile a capire cosa ci attende quando potremo tornare in campo. 
Buongiorno Dott. Gori, classica domanda di rito che facciamo a tutti i nostri intervistati in periodo di quarantena. Come procede la vita casalinga? Come procede l'attività professionale?






In questo momento sono bloccato come tutti i cittadini dalle disposizioni governative. Lo sport è fermo e di conseguenza anche la gran parte delle attività che svolgo da medico sportivo sono ferme. Approfitto del tempo libero per studiare ed aggiornare i temi più importanti della professione. Sto con mia moglie, mi occupo della casa, curo gli animali e poi porto avanti una serie di consulenze che si intersecano con il supporto garantito a molti colleghi impegnati in prima linea a combattere il coronavirus. Sul lato del tempo libero cerco di rimanere in forma svolgendo degli esercizi di allenamento praticabili in casa e poi leggo, attingo a una serie di contenuti multimediali che non riesco a consumare quando la routine del lavoro è serrata.
Questa strana stagione 2019/20 ti ha visto impegnato su più fronti. Oltre al consueto contributo con i Cavalieri Union hai ottenuto la prestigiosa nomina a medico della nazionale maggiore. In qualità di medico, ma anche e soprattutto di ex giocatore, come valuti ciò che hai visto in campo fino all’inizio del lockdown?
La nazionale italiana ha iniziato un nuovo ciclo e in sostanza c’è del rammarico per non aver potuto concludere il Sei Nazioni regolarmente. L’impressione è quella che lo staff stesse mettendo delle basi importanti, ma poi è mancato il tempo per sviluppare il lavoro di preparazione svolto nella prima parte del 2020. Franco Smith anche se insediato da poco sta facendo un ottimo lavoro, si è ben integrato con la realtà italiana ed ha il polso della situazione su gran parte degli aspetti gestionali. I miracoli però non li può fare nemmeno lui e dunque avrà bisogno del tempo necessario per modificare le criticità evidenziate nell’ultimo quadriennio. Personalmente ho vissuto una esperienza tanto impegnativa quanto stimolante, il rapporto con lo staff e i giocatori  è positivo, quindi credo che tornare in attività potrà solo migliorare gli equilibri di tutto il gruppo. Per quanto riguarda i Cavalieri Union possiamo dire di aver vissuto una stagione dai due volti. La prima parte è stata un po’ più dura anche a causa di un calendario che ci ha visto impegnati in tutti gli scontri diretti in trasferta, la giovane età media della rosa di fatto ha richiesto un fisiologico periodo di adattamento al campionato di serie A. Dispiace aver terminato in anticipo perché la squadra stava andando nella direzione di una salvezza tranquilla, aveva ingranato la marcia giusta ripercorrendo quelle caratteristiche che ci hanno sempre reso più competitivi nella seconda parte di stagione.
Ogni sportivo in questo momento vive nella speranza di poter tornare in campo piuttosto che in piscina o in palestra. Siamo tutti focalizzati sulla speranza a breve termine, ma il rugby è uno sport complesso che richiede una preparazione particolare prima di poter affrontare la prova del campo. La pausa sarà molto lunga e il rischio di perdere l’attitudine al contatto è concreta. Come dovremo affrontare il rientro alle competizioni mantenendo primaria la sicurezza dei giocatori ?
L’unico mezzo disponibile adesso è la pianificazione del lavoro ex novo. L’incertezza sulle date di rientro può consentire agli atleti di fare un lavoro di conservazione, ma noi dobbiamo pensare alle misure utili affinchè il giorno in cui si tornerà a giocare veramente a rugby nessuno debba correre il rischio di subire infortuni. L’integrità degli atleti è un elemento assolutamente prioritario. Se non verrà messo in atto un protocollo di ripresa graduale allora potrebbe verificarsi un aumento di traumi contusivi o infortuni muscolari proprio come accade quando ci ritroviamo ai blocchi di partenza per affrontare una nuova stagione agonistica. Molto dipenderà dalla coscienza dei ragazzi e dalle possibilità che avranno di allenarsi fino alla ripresa dell’attività. Noi come staff dovremo cercare di strutturare degli interventi individuali che rispondano agli stati di forma che inevitabilmente saranno disomogenei sia nei Cavalieri Union come in ogni squadra di rugby ferma a causa del coronavirus. Non dimentichiamoci che a fronte di chi dispone di spazi adeguati c’è anche chi questi spazi non li ha, e magari per sopperire a stati di noia o di nostalgia compensa con una alimentazione squilibrata o con uno stato di sedentarietà che mal si concilia con la vita di uno sportivo.
La particolarità di questo momento storico ci ha imposto un sostanziale ripensamento del concetto di igiene. Il rugby è uno sport che non vive solo di contatto fisico sul campo, ma anche e soprattutto fuori. Fra abbracci, spogliatoi condivisi, borracce, fango e molti altri elementi che non potranno più essere vissuti senza mettere in atto le misure preventive di cui tanto si parla. Come ti immagini il rugby post coronavirus? Un rugby cambiato per sempre?
Tutto dipenderà dalle risposte sanitarie al virus Covid 19. Tradotto: se arriveremo a produrre il vaccino o meno. E’ palese che il livello di attenzione aumenterà considerevolmente. Però voglio ricordare che tante delle misure suggerite in questa fase emergenziale dovrebbero sempre far parte del vademecum degli atleti. Non scambiarsi le borracce così come evitare di indossare le maglie usate da altri durante la gara rappresentano dei suggerimenti che darei anche in condizioni normali. Il rugby però vive anche di contesti adattati e precari che andranno necessariamente rivisti per allinearsi alle misure di prevenzione preannunciate. Basti pensare che non è raro trovare partite che si svolgono in rapida sequenza temporale dove il campo di gioco è uno, gli spogliatoi sono due, e magari le squadre impegnate dalla mattina al pomeriggio sono sei. Le attività andranno rimodulate cercando di modificare l’uso promiscuo degli spazi comuni. Sono sicuro che la chiamata alla responsabilità può trovare terreno fertile nel nostro sport più che altrove, però è necessario pensare ad un rugby diverso, ad un nuovo modello di interazione in cui il distanziamento sociale condizionerà una disciplina che poggia le sue basi sulla condivisione degli spazi e sull’abbraccio vero e simbolico al compagno e all’avversario.

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