Dottor Niccolò Gori: "necessario pensare ad un nuovo modello di rugby post coronavirus"
Mettere definitivamente la parola fine al
coronavirus è un procedimento dai tempi ancora incerti, ma i club sportivi
esattamente come le aziende iniziano a pensare soluzioni di ripristino delle
attività.
In questo scenario inedito abbiamo chiesto un
contributo al Dottor Niccolò Gori che grazie alla sua esperienza ha uno sguardo
d'insieme utile a capire cosa ci attende quando potremo tornare in campo.
Buongiorno
Dott. Gori, classica domanda di rito che facciamo a tutti i nostri intervistati
in periodo di quarantena. Come procede la vita casalinga? Come procede
l'attività professionale?
In questo momento sono bloccato come tutti i
cittadini dalle disposizioni governative. Lo sport è fermo e di conseguenza
anche la gran parte delle attività che svolgo da medico sportivo sono ferme.
Approfitto del tempo libero per studiare ed aggiornare i temi più importanti
della professione. Sto con mia moglie, mi occupo della casa, curo gli animali e
poi porto avanti una serie di consulenze che si intersecano con il supporto
garantito a molti colleghi impegnati in prima linea a combattere il
coronavirus. Sul lato del tempo libero cerco di rimanere in forma svolgendo
degli esercizi di allenamento praticabili in casa e poi leggo, attingo a una
serie di contenuti multimediali che non riesco a consumare quando la routine
del lavoro è serrata.
Questa
strana stagione 2019/20 ti ha visto impegnato su più fronti. Oltre al consueto
contributo con i Cavalieri Union hai ottenuto la prestigiosa nomina a medico
della nazionale maggiore. In qualità di medico, ma anche e soprattutto di ex
giocatore, come valuti ciò che hai visto in campo fino all’inizio del lockdown?
La nazionale italiana ha iniziato un nuovo ciclo e
in sostanza c’è del rammarico per non aver potuto concludere il Sei Nazioni
regolarmente. L’impressione è quella che lo staff stesse mettendo delle basi
importanti, ma poi è mancato il tempo per sviluppare il lavoro di preparazione
svolto nella prima parte del 2020. Franco Smith anche se insediato da poco sta
facendo un ottimo lavoro, si è ben integrato con la realtà italiana ed ha il
polso della situazione su gran parte degli aspetti gestionali. I miracoli però
non li può fare nemmeno lui e dunque avrà bisogno del tempo necessario per
modificare le criticità evidenziate nell’ultimo quadriennio. Personalmente ho
vissuto una esperienza tanto impegnativa quanto stimolante, il rapporto con lo
staff e i giocatori è positivo, quindi credo che tornare in attività
potrà solo migliorare gli equilibri di tutto il gruppo. Per quanto riguarda i
Cavalieri Union possiamo dire di aver vissuto una stagione dai due volti. La
prima parte è stata un po’ più dura anche a causa di un calendario che ci ha
visto impegnati in tutti gli scontri diretti in trasferta, la giovane età media
della rosa di fatto ha richiesto un fisiologico periodo di adattamento al
campionato di serie A. Dispiace aver terminato in anticipo perché la squadra
stava andando nella direzione di una salvezza tranquilla, aveva ingranato la
marcia giusta ripercorrendo quelle caratteristiche che ci hanno sempre reso più
competitivi nella seconda parte di stagione.
Ogni
sportivo in questo momento vive nella speranza di poter tornare in campo
piuttosto che in piscina o in palestra. Siamo tutti focalizzati sulla speranza
a breve termine, ma il rugby è uno sport complesso che richiede una
preparazione particolare prima di poter affrontare la prova del campo. La pausa
sarà molto lunga e il rischio di perdere l’attitudine al contatto è concreta.
Come dovremo affrontare il rientro alle competizioni mantenendo primaria la
sicurezza dei giocatori ?
L’unico mezzo disponibile adesso è la
pianificazione del lavoro ex novo. L’incertezza sulle date di rientro può consentire
agli atleti di fare un lavoro di conservazione, ma noi dobbiamo pensare alle
misure utili affinchè il giorno in cui si tornerà a giocare veramente a rugby
nessuno debba correre il rischio di subire infortuni. L’integrità degli atleti
è un elemento assolutamente prioritario. Se non verrà messo in atto un
protocollo di ripresa graduale allora potrebbe verificarsi un aumento di traumi
contusivi o infortuni muscolari proprio come accade quando ci ritroviamo ai
blocchi di partenza per affrontare una nuova stagione agonistica. Molto
dipenderà dalla coscienza dei ragazzi e dalle possibilità che avranno di
allenarsi fino alla ripresa dell’attività. Noi come staff dovremo cercare di
strutturare degli interventi individuali che rispondano agli stati di forma che
inevitabilmente saranno disomogenei sia nei Cavalieri Union come in ogni
squadra di rugby ferma a causa del coronavirus. Non dimentichiamoci che a
fronte di chi dispone di spazi adeguati c’è anche chi questi spazi non li ha, e
magari per sopperire a stati di noia o di nostalgia compensa con una
alimentazione squilibrata o con uno stato di sedentarietà che mal si concilia
con la vita di uno sportivo.
La
particolarità di questo momento storico ci ha imposto un sostanziale
ripensamento del concetto di igiene. Il rugby è uno sport che non vive solo di
contatto fisico sul campo, ma anche e soprattutto fuori. Fra abbracci,
spogliatoi condivisi, borracce, fango e molti altri elementi che non potranno
più essere vissuti senza mettere in atto le misure preventive di cui tanto si
parla. Come ti immagini il rugby post coronavirus? Un rugby cambiato per
sempre?
Tutto dipenderà dalle risposte sanitarie al virus
Covid 19. Tradotto: se arriveremo a produrre il vaccino o meno. E’ palese che
il livello di attenzione aumenterà considerevolmente. Però voglio ricordare che
tante delle misure suggerite in questa fase emergenziale dovrebbero sempre far
parte del vademecum degli atleti. Non scambiarsi le borracce così come evitare
di indossare le maglie usate da altri durante la gara rappresentano dei
suggerimenti che darei anche in condizioni normali. Il rugby però vive anche di
contesti adattati e precari che andranno necessariamente rivisti per allinearsi
alle misure di prevenzione preannunciate. Basti pensare che non è raro trovare
partite che si svolgono in rapida sequenza temporale dove il campo di gioco è
uno, gli spogliatoi sono due, e magari le squadre impegnate dalla mattina al
pomeriggio sono sei. Le attività andranno rimodulate cercando di modificare
l’uso promiscuo degli spazi comuni. Sono sicuro che la chiamata alla
responsabilità può trovare terreno fertile nel nostro sport più che altrove,
però è necessario pensare ad un rugby diverso, ad un nuovo modello di
interazione in cui il distanziamento sociale condizionerà una disciplina che
poggia le sue basi sulla condivisione degli spazi e sull’abbraccio vero e
simbolico al compagno e all’avversario.
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