SONO UN
BAMBINO CHE GIOCA A RUGBY
Quando chiedo a qualcuno perché non gioca a rugby la risposta è
sempre la stessa: la paura di farsi male. Ma allora una persona dovrebbe aver
paura di andare in macchina, in moto, di sciare e di tutto il resto.
Io gioco a rugby senza paura perché so che affronterò un bimbo come me. Che magari a calcio non era forte, che per il basket era troppo basso e che per qualsiasi altro sport era ciccione. Ma quel bimbo, proprio come me, odia la paura.
La prima cosa che ho imparato allenandomi è che io da solo sono uno dei tanti, ma io e i miei compagni, insieme, quando giochiamo siamo una squadra.
«Il rugby sono 14 uomini che lavorano insieme per dare al quindicesimo mezzo metro di vantaggio.»
Io gioco a rugby senza paura perché so che affronterò un bimbo come me. Che magari a calcio non era forte, che per il basket era troppo basso e che per qualsiasi altro sport era ciccione. Ma quel bimbo, proprio come me, odia la paura.
La prima cosa che ho imparato allenandomi è che io da solo sono uno dei tanti, ma io e i miei compagni, insieme, quando giochiamo siamo una squadra.
«Il rugby sono 14 uomini che lavorano insieme per dare al quindicesimo mezzo metro di vantaggio.»
Io sono pieno di botte e lividi ma non ho ancora
incontrato la violenza in questo sport. Sto imparando che ci sono mille regole,
che dopo il placcaggio devi accompagnare a terra l’avversario per evitare che
si faccia male, che il pallone lo passi sempre indietro, che quando l’arbitro
parla tu puoi solo eseguire il suo comando, e se protesti vieni cacciato fuori
o da lui o dal tuo allenatore.
Se sei egoista non è lo sport per te, se corri da
solo troverai 15 avversari che proveranno a fermarti. E ci riusciranno.
Mi sono allenato così tanto, che non vedo l’ora di
giocare questa partita. Io e la mia squadra siamo qui. Non abbiamo paura. Siamo
grandi e forti come loro.
Primo tempo: entusiasmo alle stelle. Ce la mettiamo
tutta. Sfioriamo due volte la meta, completamente ricoperti di fango e sudore.
Risultato parziale 42 a 0.
Secondo tempo: facciamo tutti i cambi a
disposizione, ancora più grinta e determinazione. Torniamo vicino a quella riga
di meta. La vediamo sotto il naso e stiamo per farcela ma il pallone esce. La
partita finisce 82 a 0.
Le facce dei nostri genitori sono amareggiate.
Tutti pronti a consolarci. Guardo quelle dei miei compagni, del mio allenatore
e le vedo fiere, con la testa alta. Salutiamo il pubblico mischiandoci ai
nostri avversari, facendo e ricevendo i complimenti.
“Certo che sul 40 a 0 potevano fermarsi” si sente
dalle tribune.
Sapete perché non ci siamo fermati? Perché ci hanno
rispettati.
Nel rugby come nella vita nessuno regala nulla.
Se
nelle difficoltà ci si ferma a piangere, a sperare che le cose si sistemino da
sole, si vivrà solo di illusioni. C’è una sola cosa da fare: guardarsi in
faccia, guardare gli amici ed essere sempre pronti a ripartire; continuare ad
allenarsi e avere voglia di portare quella palla in meta. Perché contro ci sarà
sempre qualcuno o qualcosa che la palla la vuole portare nella vostra meta.
«Adesso so che correre non vuol dire scappare, ma
andare incontro al futuro. Adesso so che affrontare la vita sarà un gioco da
ragazzi e che, se la vita è un gioco, il rugby è una gran bella maniera di
viverla!»
cit.
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