TRA CARCERE E CITTÀ, IL RUGBY
PESARESE DIVENTA EXTRA
“EXTRA: il Rugby per rieducare” è
il nome progetto che propone attività motoria e conoscenza del nostro gioco ai
detenuti della Casa Circondariale Pesaro - Villa Fastiggi; conta attualmente 22
atleti, con 41 partecipanti avvicendatisi durante le 108 ore tra allenamenti in
campo e formazione d'aula.
Svolto ogni sabato mattina, dal 27
febbraio scorso, il corso nasce dalla volontà di Giuseppantonio “Beppe” De Rosa
in accordo con Direzione e Area Pedagogica del penitenziario pesarese; registra
il patrocinio della Federazione Italiana Rugby unitamente al supporto
tecnico/logistico delle Asd Pesaro Rugby.
Risultando totalmente autofinanziato è reso possibile dalla collaborazione volontaria di un nutrito gruppo di 32 appassionati: allenatori, arbitri, educatori, giocatori, professionisti del settore e della comunicazione.
Si tratta d'una esperienza umana e sportiva intensa, «...capace di trasmettere un crescente senso di gratificazione, con la percezione d'una entusiasmante motivazione da parte degli atleti detenuti», come dichiara il Dott. Pier Paolo Gambuti, ex giocatore, psicologo ed educatore F.I.R.
Risultando totalmente autofinanziato è reso possibile dalla collaborazione volontaria di un nutrito gruppo di 32 appassionati: allenatori, arbitri, educatori, giocatori, professionisti del settore e della comunicazione.
Si tratta d'una esperienza umana e sportiva intensa, «...capace di trasmettere un crescente senso di gratificazione, con la percezione d'una entusiasmante motivazione da parte degli atleti detenuti», come dichiara il Dott. Pier Paolo Gambuti, ex giocatore, psicologo ed educatore F.I.R.
«Va sottolineato il clima di
rispetto delle regole, del setting in campo e fuori, in particolare nello
spirito di gruppo che spesso si traduce in responsabilità individuale nella
gestione dei materiali e accessori di gioco; la partecipazione degli atleti -
spesso subordinata a tante difficoltà nelle strette maglie della burocrazia
interna - fa da contrappeso ad una volontà attiva e coinvolgente sul campo.
Allenamenti svolti su un campo non idoneo, non tolgono la voglia e la curiosità
dei partecipanti a sperimentare azioni di contatto, mettendosi in “gioco” senza
paure o restrizioni nel gesto atletico e agonistico. Colpisce la sensibilità
nel coadiuvare i compagni con meno esperienza, stando contemporaneamente nella
giusta “subordinazione” verso l’allenatore/educatore presente; essendo per
formazione esperto di processi psichici e motori, vedo anche una attenta
richiesta di informazione sulle modalità migliori per essere in condizione
psico-fisica».
«La prima volta in carcere è pesante. Le sbarre, le procedure di sicurezza, i lucchetti che si aprono e si chiudono, non passano senza lasciare il segno, accompagnati dal “se dovesse capitare a me, come farei?”; a colpirmi non furono i motivi della detenzione né la storia dei partecipanti, ma la loro condizione di persone private della libertà. Mi resi conto che tutti possono commettere un errore grave... bastano condizioni al di fuori del proprio controllo per sbagliare: il momento, il luogo, la particolare situazione, pur riconoscendo la responsabilità finale nella persona. Non volli conoscere le storie giudiziarie di chi partecipava al progetto, sentendo che, in fondo, si trattava di persone che come me condividevano per un momento il gioco del rugby: anche commettendo uno sbaglio grave, non si è il proprio errore. Dopo diversi mesi, mi resta la lezione data involontariamente da quegli atleti: nel bene o nel male, al di là delle questioni di giudizio, loro riconoscono di aver sbagliato e ne accettano le conseguenze; in “comunità libera” questo atteggiamento è difficile da trovare: si è diffusamente inclini a sottrarsi alle proprie responsabilità, cercando nella giustificazione dei propri comportamenti, le motivazioni per l'autoassoluzione».
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