Luigi Birardi,
allenatore
Olbia Rugby, Under 12 per la stagione 2024/2025, in bocca al lupo.
L'incontro con
il rugby avviene nei primi anni Ottanta. Ero un giovane appassionato di sport,
ma non come la maggior parte dei miei coetanei, che giocavano a calcio; io
provenivo dalla pallavolo. Del resto, la scuola non proponeva molte
alternative: chi non amava rincorrere il pallone poteva scegliere tra
l’atletica, la pallavolo o il basket.
(In foto Luigi Birardi)
Quasi per
caso, incontrai questo distinto signore argentino, trasferitosi da poco in
città per motivi di lavoro. Ex giocatore con una grande passione per il rugby,
il suo entusiasmo mi travolse. Quando cominciai a comprendere le regole del
gioco, me ne innamorai perdutamente.
Gianni Buraggi
si offrì di allenarci, a condizione però, che riuscissimo a coinvolgere un
cospicuo numero di ragazzi. Ci mettemmo subito al lavoro e, al primo
appuntamento, una domenica mattina, ci presentammo in venti.
Luogo
dell’incontro fu il porto vecchio, più propriamente detto “Molo Brin”.
Fu un giorno
emozionante per il coach argentino. Raccogliere venti ragazzi per uno sport che
quasi nessuno conosceva era stata una vera impresa. Era il periodo delle grandi
compagnie: una volta coinvolti quei due o tre trascinatori, il resto veniva da
sé.
I primi due
anni furono caratterizzati da allenamenti sporadici: ci si allenava
principalmente la domenica e, di tanto in tanto, si riuscivano persino a
organizzare delle partite. I nostri avversari di quel periodo erano quasi
sempre i catalani.
Nel periodo
estivo, ci incontravamo sulla spiaggia di Pittulongu; la nostra presenza
attirava numerosi ragazzi, incuriositi da questo sport così originale e
coinvolgente.
Successivamente
i Carabinieri dell’eliporto di Vena Fiorita, ci concessero di allenarci su una
delle piste. Fu proprio in questa location che ospitammo l’Alghero per la
nostra prima vera partita.
I colori non
sono sempre stati quelli attuali; inizialmente, ci furono forniti dei completi
dalla Federazione Italiana Rugby, la casacca era a strisce blu e bianche.
Ricordo con nostalgia il fatidico giorno in cui ci consegnarono il pacco,
qualcuno pianse e chi non lo fece è perché trattenne l’emozione.
Nell’immaginario di ognuno di noi, quello fu il giorno di in cui diventammo una
squadra di rugby.
Poi arrivò
anche la nostra prima partecipazione a un campionato. Immaginate l’emozione.
Non avevamo un campo definito su cui giocare; di volta in volta ottenevamo una
concessione per effettuare le partite.
Nel 1986
dovetti partire per il servizio militare ed ebbi la fortuna di essere destinato a
Viterbo. Appena giunto nella città laziale, mi recai subito nella sede del
Viterbo Rugby. Mi allenai e giocai con la squadra per un intero campionato. Mi
offrirono persino un lavoro purché rimanessi con loro, ma non ci fu nulla da
fare: il richiamo delle api era troppo forte.
In realtà,
ebbi un attimo di tentennamento, ma quando tornai in città per una licenza, fui
contattato da un personaggio che fugò ogni mio dubbio. Si chiamava Stefano
Diliberto, un imprenditore genovese con interessi in città. Stefano mi convinse
a rimanere; le sue ambizioni erano davvero grandi e ne rimasi ammaliato.
(Stefano Di Liberto oggi, immagine inserita da RUGBYTOTALE&SOCIALE)
In parte le
aspettative furono realizzate, con la partecipazione a tornei interessanti e a
partite con squadre venute in Sardegna appositamente per giocare con noi.
Tuttavia, a questo periodo d’oro seguirono anni bui, durante i quali il club si
sosteneva a malapena, solo grazie alla passione di pochi. Era evidente la
difficoltà nel reperire sponsor: sebbene questo sport suscitasse l’interesse di
molti, le aziende preferivano il calcio, molto più seguito e radicato nel
tessuto sociale della città.
Fu proprio nel
bel mezzo di questa crisi che focalizzammo il nostro impegno quasi
esclusivamente sulle giovanili. Ci fu, per questo, un esodo di forze verso aree
con squadre senior. Molti dei nostri giovani over venti si trasferirono ad
Alghero e Sassari. Una scelta che, inizialmente, apparve disastrosa, ma che nel
tempo portò ai risultati auspicati.
La svolta vera
e propria ci fu quando si presentò all'Olbia Rugby Roberto Palomba, un
personaggio proveniente da Alghero. Uomo di rugby con una particolare
attitudine per le giovanili, Palomba portò con sé un'energia e una competenza
che cambiarono radicalmente la situazione. Il club, usando un termine
dinamitardo, esplose letteralmente.
Fu una vera
fortuna per il club che questo grande allenatore si trasferisse in città per
esigenze lavorative, perché il suo arrivo cambiò radicalmente il corso degli
eventi. Si iniziò a lavorare con le scuole e, ben presto, il campo si ripopolò
di decine di ragazzi volenterosi. Fu una sensazione di rinascita, come se un
corpo inanimato si destasse all'improvviso e cominciasse a correre: un vero e
proprio miracolo.
Furono anni di
crescita, coronati da importanti successi. Più avanti, negli anni Duemila, dopo
un’ulteriore crisi seguita al ritorno di Roberto Palomba ad Alghero, cercammo
nuove forze. Convinsi vecchi giocatori come Luigi Piredda e Marco Buioni, e
appassionati come Piero Campesi e Nino Deiana. Il loro apporto determinò una
nuova ripresa che ci ha portato fino ai giorni nostri.
(Luigi Birardi)
Nella nuova
struttura, guidata da Mirko Luciano, sarò allenatore dell’Under 12. Sono molto
fiducioso e non vedo l’ora di iniziare. Sono passati quarantadue anni, ma vi
dico la verità: nel mondo del rugby, mi sento ancora un ragazzino.
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