Per quelli (pochi spero) che non hanno potuto leggerlo sull'edizione digitale di Repubblica - abbonatevi, costa pochissimo e ci sono tanti servizi che meritano -, riporto l'intervista integrale a Stefano Bertirotti dell'altro giorno. Sperando possa essere utile.
di Massimo Calandri.
L’ultimo è ricordo è
una dottoressa che studia i risultati degli esami e dice: “Qui c’è qualcosa
rivedere”. Gli infermieri gli mettono un camice. E all’improvviso, il buio.
Quando Stefano Bertirotti ha riaperto gli occhi, erano trascorsi 23 giorni. “Mi
sono ritrovato pieno di aghi, tubi, bende: alle braccia, al collo, al naso. La
tracheotomia”. Non ricorda nulla di quel tempo sospeso. “Ma sono certo di avere
sempre sognato. Perché dopo, sono entrato in una sorta di dormiveglia. Tornando
in quel mondo di prima. Ero un ragazzo, diventavo grande: gli amici del liceo,
quelli dell’Università, il lavoro. Gironzolavo per Genova, mostrando alla gente
quanto era bella la mia città. E c’era Marco Bucci. Sì, il sindaco. Che mi ha
preso da parte, sussurrando: ‘Tranquillo, hanno sospeso il campionato: il tuo
Cus Genova è salvo, rimane in serie A’. Che stranezza”. Dalla rianimazione, è
poi passato alla terapia intensiva: altri 20 giorni, e ancora 10 nel reparto di
malattie infettive. Entrato all’ospedale Galliera il 15 marzo, dopo più di una
settimana trascorsa in casa con la febbre a 39°. Dimesso il 5 maggio. Un caso
clinico “eccezionale”, lo hanno definito: pochissimi hanno saputo lottare così
tanto, e vincere il Covid. “Sono solo un uomo fortunato”.
(Stefano Bertirotti atleta del CUS Genova Vagabond negli anni 80/90, in foto con il fratello Massimo e il compagno di squadra sudafricano Oosthuizen)
Sessant’anni appena
compiuti, Stefano Bertirotti è un imprenditore molto noto nel capoluogo ligure.
E uno sportivo. Per 25 campionati ha giocato nella squadra universitaria di
rugby. Di cui è stato quindi allenatore, dirigente, infine presidente. Un
guerriero, che porta ancora su di sé i segni della battaglia più dura. Quella
col Coronavirus.
( una foto piuttosto datata con in campo il Vagabond CUS Genova, palla in mano a Massimo Bertirotti)
“Ho perso 11 chili di peso, tutto il tono muscolare. Ho problemi di equilibrio. Ci vorranno 6 mesi, forse un anno, perché riacquisti la sensibilità al piede destro. Ma sono vivo, e ho qualcosa da raccontare”.
Comincia dalla fine. Dal suo appartamento in via dei Giustiniani, dove è tornato da un mese. “La sera apro le finestre e guardo di sotto, i ragazzi che giustamente fanno festa e si bevono una birra. Però tutti quegli abbracci, le mascherine abbassate. Non si rendono conto che sono proprio le persone che stanno bene, ad attaccare il virus. Perché uno si sente forte, e dice:
( una foto piuttosto datata con in campo il Vagabond CUS Genova, palla in mano a Massimo Bertirotti)
“Ho perso 11 chili di peso, tutto il tono muscolare. Ho problemi di equilibrio. Ci vorranno 6 mesi, forse un anno, perché riacquisti la sensibilità al piede destro. Ma sono vivo, e ho qualcosa da raccontare”.
Comincia dalla fine. Dal suo appartamento in via dei Giustiniani, dove è tornato da un mese. “La sera apro le finestre e guardo di sotto, i ragazzi che giustamente fanno festa e si bevono una birra. Però tutti quegli abbracci, le mascherine abbassate. Non si rendono conto che sono proprio le persone che stanno bene, ad attaccare il virus. Perché uno si sente forte, e dice:
‘Non ho paura’. Ma dovrebbe pensare
agli altri, a quelli più deboli. Invece”. A Bertirotti chissà chi lo ha
attaccato, il male. “Ci ho pensato mille volte, tanto che serve? Uno coi
sintomi, o quello che sembrava più in forma di tutti? La verità è che sappiamo
ancora troppo poco del contagio. Capisco che la gente abbia voglia di uscire e
di riprendersi la vita, il lavoro: sono d’accordo. Però continuate ad essere
prudenti, per favore”.
Il 6 marzo era
rientrato a casa con la febbre a 39°, emicrania, dolori dappertutto. “Ma non un
colpo di tosse, respiravo benissimo. Due giorni di tachipirina, al terzo ho
chiamato il dottore che mi ha detto di essere andato in pensione da 2 anni. E
io come potevo saperlo? A parte qualche osso rotto giocando a rugby, ho sempre
avuto una salute di ferro: in tutta la mia vita lo avrò visto un paio di
volte”. L’altro medico gli dice di chiamare il numero verde, ma quelli: ‘Stia
tranquillo nel suo appartamento, gli ospedali sono già troppo affollati’. Dopo
9 giorni senza riuscire a mangiare, solo un po’ d’acqua, va in ambulanza al
Galliera. Un uomo forte, sereno: un atleta. Eppure. I controlli. Il buio.
“Mi sa che tra un paio
di giorni al massimo, Bertirotti ci abbandona. E si libera un letto”: sembra
che i medici della rianimazione se lo siano detto più di una volta, così
racconta un loro collega. Ma Stefano non ha mai mollato. Nemmeno loro.
Nonostante una brutta infezione al sangue, una pancreatite, la sofferenza
epatica, un blocco renale e i problemi neurologici: col Covid non c’erano più
difese immunitarie, bastava nulla per precipitare all’inferno. “Sono un rugbista,
ho sempre combattuto in campo. E nella vita. Al Galliera poi sono stati
fantastici, di una dedizione quasi mistica: ‘Ti dobbiamo salvare la vita’, mi
ripetevano, tenendomi la mano.
(in foto Giacomo, figlio di Stefano, attuale giocatore del XV universitario)
Dottori, infermieri. Tutti. Mi hanno trattato come un figlio. E come un figlio li ho ripagati”.
(in foto Giacomo, figlio di Stefano, attuale giocatore del XV universitario)
Dottori, infermieri. Tutti. Mi hanno trattato come un figlio. E come un figlio li ho ripagati”.
Il momento più bello?
“Lasciando l’ospedale e incontrando finalmente la mia famiglia – i figli
Giacomo (anche lui rugbista nel Cus) e Eugenia, la compagna Elena – mi sono
commosso. Me lo dicevano con gli occhi: ‘Sapevamo che ce l’avresti fatta’. Sono
tornato in carrozzella, poi la fisioterapia e mi sono rimesso in piedi. Che
emozione, la prima doccia calda in casa!”.
Da
una storia così, non si può uscire che migliori. “La gente ha capito che ci si
può adattare, che è possibile rinunciare a qualcosa che prima dava per
scontato: questo davvero rappresentare una svolta. Personalmente, ho imparato a
vedere le cose in un’altra prospettiva, ad apprezzare i piccoli gesti. La
felicità è fare parte del mondo, avere un tuo – piccolo – ruolo nella vita di
tutti”. E’ il presidente della sezione rugby del Cus Genova, che tra bimbi e
veterani raccoglie circa 500 persone. “E che gioia, ricevere i messaggi dai
piccoli o dai loro genitori: chiedono quando potranno tornare a fare sport,
adesso il Carlini è riaperto ed eccoli di nuovo a correre. Ma anche la mia
azienda, che in questi mesi è rimasta ferma: però non lascerò indietro nessuno.
Perché ho sempre saputo di essere un uomo fortunato, di avere un motore dentro:
e allora questo motore ho il dovere di farlo funzionare. Io, come tutti gli
altri”. (mc)
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Primavera 2020 indimenticabile per molti, me
compreso colpito nuovamente dal male del secolo. Una Primavera che ha insegnato
molto a tutti i livelli, una Primavera che personalmente mi auguro abbia insegnato
a capire quali sono i veri valori della nostra vita, della nostra esistenza,
troppo spesso banalizzata. E’ stata una Primavera che ha messo in discussione
tutto e tutti noi ma, limitandoci alle vicende legate al nostro sport, da
questo incredibile periodo sono emerse da molti Club e istituzioni, solidarietà
e volontà di aiutare il prossimo, e l’augurio è che questo prosegua anche
quando si sarà ritornati alla vita abituale. Un pensiero in piu’ va comunque
obbligatoriamente assegnato a tutti gli operatori sanitari che si sono
prodigati in questo lungo periodo di pandemia, ed una sincera preghiera va a
chi non è piu’ con noi! (rr)
P.S. Foto inserite da RUGBYTOTALE.
P.S. Foto inserite da RUGBYTOTALE.
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