Claudio
Carboni, allenatore Olbia Rugby categoria Under 16, stagione 2024/2025.
Sono nato e
cresciuto ad Alghero, e lì, intorno agli otto anni, ho iniziato la mia carriera
rugbistica. Il motivo? Il padre di un mio compagno di classe alle medie era il
figlio di un dirigente dell’Amatori Rugby Alghero. Frequentava regolarmente il
campo da rugby e un giorno mi invitò a fare lo stesso. Da lì, tutto ebbe
inizio.
Sin da subito
ebbi un valido motivatore: mio padre, che presto divenne parte attiva dei miei
progressi. Oltre ad accompagnarmi al campo, si trasformò spesso in un vero e
proprio tassista per i miei coetanei, assicurandosi che anche loro potessero
partecipare agli allenamenti. Grazie al suo impegno, il numero di ragazzi
presenti crebbe rapidamente, rendendo le sessioni sempre più coinvolgenti e
partecipate.
Quando gli
allenamenti lasciarono il posto alle partite della domenica, la mia
infatuazione per il rugby si trasformò in un amore vero e proprio. Da quel
momento non ho mai più abbandonato questa passione.
L’idea di diventare allenatore è nata quando la mia carriera da giocatore stava ormai giungendo al termine. L’unico modo per rimanere legato a questo meraviglioso mondo era quello di allenare. Con entusiasmo e determinazione, mi sono quindi proposto al direttore tecnico, Mirko Luciano, che ha accolto la mia proposta con altrettanto entusiasmo, incoraggiandomi a intraprendere questo nuovo percorso.
Dalla prossima
stagione, l’età non mi consentirà più di giocare a livello agonistico. Se da
una parte questa consapevolezza mi rattrista, dall’altra mi offre l’opportunità
di dedicarmi con maggiore intensità alla carriera da allenatore, portando
avanti la mia passione in una nuova veste.
Per la
stagione corrente dovrò ancora conciliare entrambe le cose: seguire la mia
squadra come allenatore e, allo stesso tempo, allenarmi e scendere in campo con
i miei compagni della seniores la domenica. Un doppio impegno che richiede
dedizione, ma che affronto con passione.
La serenità
che questo meraviglioso mondo mi trasmette ripaga ogni sforzo. Il rugby è molto
più di uno sport: è una ragione di vita, uno stile, una religione. La mia
famiglia — mia moglie e mio figlio — mi seguono e mi supportano in ogni passo,
rendendo tutto più semplice, più leggero e infinitamente più piacevole.
Allenare la
Under 16 comporta diversi vantaggi rispetto alle categorie inferiori. I
ragazzi, essendo più maturi, hanno una maggiore capacità di comprensione
tattica e tecnica, permettendo di lavorare su concetti più avanzati. Inoltre,
il mio approccio, sia come giocatore sia come uomo, risulta più in linea con il
livello di competenze e con le esigenze di questa fascia d’età, favorendo un
rapporto più diretto e produttivo.
Prediligo un
tipo di allenamento che miri a sviluppare la fisicità e la motricità,
integrandole con la tecnica individuale e il gioco di squadra. L’obiettivo è
guidare gli atleti verso la capacità di prendere decisioni autonome, senza
imporre scelte predefinite, ma stimolando il loro intuito e la loro
consapevolezza in campo.
Personalmente,
grazie a questa esperienza, sto comprendendo pienamente cosa significhi essere
un giocatore e cosa significhi, invece, essere un allenatore. Due ruoli
diversi, ma profondamente intrecciati, che richiedono prospettive e approcci
distinti.
Mi rendo conto
di quanto sia complesso catturare l’attenzione dei giovani senza ricorrere a
metodi autoritari o di stampo militare. Serve equilibrio, creatività e la
capacità di coinvolgerli in modo naturale e stimolante.
I miei
maestri, sia durante la mia carriera da giocatore che ora in quella di
allenatore, sono stati fondamentali. In primis Roberto Palomba, che mi ha
allenato per tutto il periodo delle giovanili ad Alghero. È stato un allenatore
che non solo ci ha insegnato a giocare, ma ci ha trasmesso i valori più
profondi di questo sport, facendoci capire cosa significhi davvero viverlo.
Altri nomi importanti per me sono stati Marco Bollesan, Tino Paoletti, Kelly Rolleston, Marco Anversa e, oggi, Mirko Luciano. Ognuno di loro mi ha trasmesso qualcosa di prezioso, arricchendo il mio modo di vedere e vivere il rugby, sia in campo che fuori.
Il futuro? Mi
piacerebbe che la federazione considerasse di estendere di qualche anno la
possibilità di giocare come agonista. Credo che molti giocatori abbiano ancora
tanto da dare, sia fisicamente che mentalmente, anche superata l’attuale soglia
d’età.
Buon rugby
Claudio
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