Gian
Piero Gasperini gli ha tolto il primato di panchine genoane consecutive, ma non
quello di fedeltà alla causa. Nel calcio di domani, sempre meno legato alle
bandiere, sarà impossibile battere le sue 265 partite d tecnico rossoblù, pur
in tre differenti periodi.
Gigi
Simoni ha scritto pagine indelebili nella storia del Grifone, decollata quando
ancora calzava gli scarpini bullonati. Era a fine carriera, dopo brillanti
apparizioni nel Mantova di Zoff, nel Toro di Gigi Meroni, nella Juventus.
Non
era il classico regista, ma una mezz’ala che brillava a tutto campo, per
intelligenza e continuità. Un gradino sotto i calciatori da Nazionale, ma
avercene giocatori così affidabili, tecnici, duttili, capaci di costruire gioco
e, se occorre, concludere a rete.
A
Genova arrivà ben oltre i trent’anni, ma aveva ancora voglia di farsi
apprezzare. Era già la squadra di Renzo Fossati, padre padrone per quasi
quattro lustri, e il loro sodalizio sarebbe stato duraturo, perfetto, mai
scalfito da liti o incomprensioni. Gigi fece in tempo a contribire ad una
promozione in serie A. L’ultima sua gioia intensa da calciatore prima di
saltare lo steccato, per lui, sottilissimo, con la nuova tappa professionale,
quella di allenatore, da lui avviata all’alba dei 36 anni, come sostituto di
Guidone Vincenzi.
Gigi
ha vissuto da giramondo del calcio, ma è indubbio che a Genova abbia trovato il
suo naturale rifugio. Come tecnico ha ottenuto due promozioni e patito
altrettante retrocessioni prima di un terzo ritorno, quando comandava già Aldo
Spinelli, affidatosi a lui anche per tenersi buona la piazza.
Il
suo credo tattico non è mai stato monolitico. A lui, già come calciatore,
piacevano il football spumeggiante, il gioco offensivo, lo spettacolo. Qualità
che lo esaltavano quando occorreva vincere tra i cadetti (impresa a lui
riuscita anche lontano dalla Liguria) ma lo limitavano se occorreva inseguire
sofferente salvezze, con l’andamento periclitante che caratterizzava l’epopea
fossatiana. Ma sarebbe ingiusto addossargli responsabilità per quelle due
drammatiche discese in cadetteria, frutto in primis di una gestione societaria
sempre troppo sparagnina.
Ragazzo
intelligente e per nulla restardo, capì sulla propria pelle che quel calcio un
po’ troppo “allegro” non era più adatto ai tempi. Ed ecco, graduale ma
costante, la sua metamorfosi da tecnico “osè” a difensivista, quasi
catenacciaro. Un cambio indispensabile per potersi mantenere a galla come
allenatore avveduto e stimato.
Abbiamo
frequentato a lungo, come giovani cronisti, Gigi, persona perbene prim’ancora
che trainer eccellente. Cordiale, disponibile,gentilissimo, riusciva ad
instaurare un rapporto ottimo coi cronisti del tempo. Lo ricordiamo al termine
di centinaia di allenamenti a Sant’Olcese, quartier generale della squadra
rossoblù: affiancato da fido Sergio Pini, ci accoglieva nello spogliatoio dei
tecnici e, mentre era sotto la doccia, raccontava a cadenza quotidiana
(altroché le ingessatissime conferenze stampa dei tempi moderni…) tutto quanto
riguardava i suoi giocatori: anche le faccende extralavoro, ovviamente con
l’impegno assoluto da parte nostra di non violare la privacy negli articoli.
Era un altro calcio, ben più schietto e semplice, ma lui aveva capito che i
giornalisti avrebbero dovuto conoscere la realtà per farsi un’idea più precisa
e lavorare meglio.
Ragazzo
d’oro, Gigi, che trovavamo ogni giorno seduto al solito tavolino del ristorante
Mentana, in corso Marconi, gestito da Nando Maestri, genoano sino al midollo.
Spesso si univa a lui per pranzo o cena lo stesso presidente Fossati, che lo
considerava un figlio più che un dipendente.
U
sciu Rensu, alle prese con costanti problemi di bilancio, apprezzava in lui la
fedeltà alla causa. “Gigi – si raccomandava – ho bisogno che tu mi faccia
giocare il tale giovane perché la prossima estate dovrò vedere qualcuno a tutti
i costi”. E Simoni, anche a costo di scontare in campo l’inesperienza del
futuro campioncino, lo accontentava: così trovavano spazio i vari Policano,
Nela, Faccenda e Vincenzo Torrente, da lui lanciato nel grande calcio. Il loro
rapporto, mai interrotto, sfociò in una doppia esperienza comune al Gubbio e
alla Cremonese, negli ultimi anni di vita professionale di mister Gigi.
Simoni
ebbe l’onore di guidare l’Inter del grandissimo Ronaldo. Chi non ricorda il suo
sdegno in occasione del mancato rigore a Torino per fallo di Iuliano sul
fenomeno brasiliano? Oltreché in nerazzurro, si era fatto apprezzare al timone
della Lazio, ma la grande città non gli si confaceva. Ha sempre preferito la
provincia e quelle relazioni umane che nelle piazze più prestigiose era più
difficile coltivare.
Ne
rimpiangiamo i modi pacati, la signorilità, la calma anche nei momenti più
concitati, quell’ironia sdrammatizzante con la quale teneva a freno un briciolo
di perdonabile permalosità. Abbiamo perso ben più di un assiduo interlocutore:
Gigi è stato un leale compagno di avventura e un amico.
(Pier Luigi Gambino)
Nessun commento:
Posta un commento