Tanti
anni fa avevo scritto che un giocatore di rugby può piangere solo per la morte
di un suo grande amico. In questi giorni noi dobbiamo piangere perché con Jimmy
(Giacomo) Grillotti è morto un grandissimo amico di tutti noi, un ottimo
giocatore e un allenatore che ha formato generazioni di rugbisti valtellinesi.
Il
suo grande pregio era quello che gli inglesi chiamano understatement.
Nel mondo dello sport Jimmy aveva un atteggiamento volutamente alieno da enfasi
e retorica che spesso si scontrava con i tanti, che avendo visto in televisione
due partite degli All Blacks, si permettevano di pontificare sul rugby, spesso
usando termini stranieri. Aveva iniziato a giocare molto giovane, in un ruolo
allora durissimo e pericoloso come il tallonatore, in una squadra che lottava
per la serie A. Si può quindi dire che veniva da una dura gavetta e quando
aveva cominciato ad allenare aveva, per lungo tempo, testardamente rifiutato di
partecipare ai corsi della Fir, che considerava inutili e saccenti. Ma questo
non voleva dire che non si preparasse tecnicamente.
Cresciuto
alla scuola di Bertola, Silvestri, Ricetti, era stato capace di raffinare la
sua tecnica e la tattica di gioco osservando i tanti stranieri che passavano
per la nostra società, tra i quali non si può dimenticare un talento come il
neozelandese Gregory Thomas. Diversissimo per etica della vita, dopo un periodo
di contrasti, aveva però seguito meticolosamente gli insegnamenti maniacali di
Manuel Ferrari, uno dei migliori allenatori del mondo per quanto riguarda la
mischia. Guardava tutti i match internazionali e applicava ciò che apprendeva
alle qualità e ai limiti dei giocatori che doveva allenare. Ho ancora negli
occhi il suo sorriso quando mi diceva che non è semplice giocare come lo Stade
Toulousain se non hai i giocatori dello Stade Toulousain!
Aveva
un’intelligenza empatica che gli permetteva di comprendere e coinvolgere tutti
i ragazzi che aveva intorno. Sia come giocatore, sia come allenatore era sempre
riuscito a trasformare il gruppo, che lavorava con lui, da un’accozzaglia di
individui in una banda di fratelli, che poteva anche perdere, ma che vendeva
cara la pelle. Credo che una delle soddisfazioni più grandi che ha avuto nella
sua vita sportiva sia stato quando ha vinto le finali per salire dalla serie C
alla B, giocando con in squadra cinque ragazzi che erano cresciuti nelle
giovanili che allenava.
Mi
mancherai tanto Jimmy. Certo non saprò più a chi chiedere se un giocatore è
forte o se una squadra gioca più o meno bene. Non saprò più di chi fidarmi per
allenare una prima linea. Non avrò più discussioni sulle giocate che si
facevano o che si potrebbero ancora fare come la tua famosissima “Tutti” o
sulla rolling maul sul lato chiuso della mischia.
Ma
soprattutto mi mancherà la tua risata, il tuo amore per la vita, la tua
capacità di fare festa. Mi mancheranno le serate in tutti i bar del mondo, gli
scherzi, le tante canzoni. Mi mancherà la nostra giovinezza. E poi, a chi
chiederò di insegnare la “Tuffetà” ai nuovi giocatori?
Ciao
Jimmone, che la terra ti sia lieve.
Alfio
Sciaresa.
Nessun commento:
Posta un commento