Grosso all'Aquila:
"Bisogna soprattutto allargare la base culturale del rugby"
L'AQUILA - È
stato un confronto interessante e proficuo quello organizzato dalla Federazione
italiana rugby ieri nella sede del comitato abruzzese, tra i rappresentanti dei
club della regione e Francesco
Grosso, responsabile nazionale del programma promozione e sviluppo.
L'area a breve prenderà il nome di "promozione e partecipazione",
adeguandosi alla terminologia di World Rugby.
Dopo un saluto iniziale da parte del presidente di FIR Abruzzo Marco Molina, che ha ringraziato
le società per il duro lavoro e per aver affrontato una stagione in modo molto positivo, propositivo e proficuo
per il movimento abruzzese, la palla è passata a Grosso per una
conversazione sul futuro della base ovale italiana e, ovviamente, abruzzese.
A causa del trend demografico negativo e degli anni della pandemia, sono molti i giovani che hanno smesso di giocare a rugby, tuttavia in Italia si è mantenuto un tessuto di tesserati simile a quello pre-pandemico (circa 70mila). Stessa tendenza si è registrata in Abruzzo, dove nell'ultimo anno si è mantenuto un numero di tesserati praticamente identico a quello della stagione precedente, consolidando l'esistente nonostante un trend demografico negativo in regione.
"Non proponiamo ricette magiche - ha affermato Grosso - ma vogliamo
allargare la base dei bambini e delle bambine. Parlo soprattutto delle bambine
non solo perché il rugby femminile
deve essere importante tanto quanto il maschile, ma anche perché molto
pragmaticamente se avessimo pari numero di praticanti tra uomini e donne
raddoppieremmo i tesserati. Su questo dobbiamo lavorare su scogli culturali
presenti sia all'esterno che all'interno del nostro mondo".
Allargare la base significa allargare la comunità, evidenzia con saggezza
Grosso: "Abbiamo perso molti ragazzi e ragazze U16 e U18, per questo da
qui a 10 anni dobbiamo ampliare la nostra base, ripartire dalla disseminazione culturale del rugby,
prima ancora dalla tecnica e dal rugby a 15, cui ovviamente guardiamo tutti.
Dobbiamo cioè allargare la base culturale del nostro sport, renderci attrattivi
attraverso il gioco in ogni sua forma, da quelle classiche del contatto a
quelle del contatto attenuato, fino al fitness rugby e al beach rugby".
Un programma per certi versi inedito per la palla ovale nazionale, che negli
anni ha teso sempre lo sguardo più al vertice che alla base. Il lavoro
culturale sui territori, in questo senso e a lungo termine, diventa invece
fondamentale.
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