Questa è una riflessione non imparziale, lo
premetto, ma è frutto di un sincero desiderio di condividere alcune
considerazioni che ritengo, con presunzione, possano essere utili a tutti
coloro che, diversamente da me, il 13 marzo voteranno per il rinnovo della
Presidenza e del Consiglio Federale FIR.
Il quadro uscito dalla presentazione delle
candidature è emblematico.
Sei candidature alla Presidenza, di cui una
cassata dalla commissione, quella di Elio DeAnna (al quale faccio di cuore i
migliori auguri per il buon esito del suo ricorso), danno il senso di un
movimento frammentato ed in fortissima fibrillazione.
E’ il frutto di quattro/otto anni davvero
difficili, di errori, di presunzioni, sui quali è calata l’ulteriore mannaia di
una pandemia che rende concreta la preoccupazione per il futuro di moltissime
società.
Ed è il sintomo chiarissimo di una rete di
rapporti sfaldatisi intorno al presidente uscente, che con caparbietà, contro
tutto e contro tutti, si ricandida, rifiutando l’onore delle armi e negando, a
se stesso prima di tutti, la realtà di un movimento che gli ha voltato le
spalle.
La maggioranza non esiste più, è evaporata e non
si ricomporrà, troppe le acredini profonde, emerse anche da un esordio davvero
triste di questa campagna, in cui gli attacchi personali hanno oscurato i
programmi elettorali.
Ciò non è ammissibile, perché se sicuramente è
opportuno, anzi doveroso, che i titolari di incarichi di vertice in FIR tengano
ben distinta e separata la propria attività professionale dal ruolo
istituzionale, allo stesso modo è necessario che una campagna elettorale si
mantenga su toni di civiltà e rispetto reciproco.
Ma nemmeno l’opposizione ha saputo in questi anni
costruire una sintesi unitaria, superare i personalismi, e proporre un unico progetto
di reale cambiamento.
Anche le candidature dei consiglieri ci parlano di
frammentazione.
Nonostante 6 candidati presidenti c’è chi non ha
trovato modo di sentirsi rappresentato e si è presentato autonomamente.
Ho grande rispetto per chiunque ci metta la
faccia, ma, fatta tara di chi è autonomo di nome e schierato di fatto, ritengo
che questa scelta sia frutto di una visione un po’ superficiale del rugby
italiano e di ciò che serve per risollevarne le sorti.
Le emergenze sono tali e tante che solo una
squadra coordinata, rappresentativa, amalgamata può tentare di affrontarle ed
iniziare il lunghissimo percorso che porterà a risolverle.
Le rappresentanze di interessi parziali, difficili
anche da decifrare (in alcuni casi non sono nemmeno geografici), non possono
essere una risposta adeguata, moderna, organizzata e professionale alle sfide
che abbiamo di fronte, così come non lo è immaginare un nuovo padre padrone
alla guida della FIR.
Di fronte a tale e tanta frammentazione, non si
tratta più di ragionare in termini di maggioranza e di opposizione, il
paradigma è cambiato e per tutti i candidati si presenta inevitabile l’onere di
cercare e trovare un nuovo modello, una nuova sintesi, che sappia riunificare
questo movimento sfaldato, che recuperi tutto il buono, tanto o poco, che c’è,
e sappia, al contempo, introdurre un profondo, storico cambiamento, ai riti ed
ai contenuti di questa federazione.
Lo dico chiaro, se si arriva con 6 candidati alle
elezioni una vera svolta positiva sarà quasi sicuramente impossibile.
Chiunque governi sarà fortemente minoritario nel
movimento, probabilmente lo sarà anche in consiglio federale, e se c’è una cosa
di cui davvero non abbiamo bisogno è di una gestione debole che traccheggi per
quattro anni in uno scenario di guerra tra bande.
Il dialogo non è solo un opzione, è un obbligo
morale, se si ha veramente a cuore il futuro di questo movimento.
Credo che questo mese sarà molto lungo, e mi
auguro che il 13 marzo sia una festa di tutti, in cui celebreremo l’uscita del
nostro rugby da una fase oscura, forti di una classe dirigente responsabile,
che sa fare squadra, che sa ammettere i proprio errori ed imparare da essi, che
sa dialogare e costruire per il bene del nostro sport.
Il Presidente PALC
Riccardo Roman
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