Intervista al capitano della Lazio Rugby 1927 Carlo
Filippucci
Nella sua undicesima stagione da
giocatore con la maglia biancoceleste nella massima serie abbiamo intervistato
il capitano della Lazio
Rugby 1927 Carlo
Filippucci, parlando di Lazio, di rugby e di
tanto altro.
La
prima immagine ed il primo ricordo che ti saltano in mente quando pensi alla
nostra Società
La prima immagine della Lazio risale
a quando avevo 12 anni, all’Acqua Acetosa sul campo 2 quando ancora era un
cosiddetto “campo di patate”. Io mi allenavo con la Lazio Rugby Club, per il
primo anno, senza essere nemmeno tesserato. Ricordo che avevamo queste maglie
da gioco enormi blu con l’aquilotto sul cuore, un ricordo di tanti anni fa che
mi fa pensare a dove tutto è iniziato.
Sei
capitano, giocatore ed allenatore nei nostri colori; una caratteristica
caratteriale secondo te necessaria per affrontare questi tre ruoli e una
specifica per ciascuno.
Di questi tre ruoli la
caratteristica fondamentale è, secondo me, l’empatia, ovvero cercare di
mettersi nei panni delle altre persone e comprendere ciò che li fa sentire bene
o ciò di cui hanno più timore o disagio.
Cercare di capire ciò di cui hanno
bisogno i ragazzi è fondamentale. Soprattutto come allenatore. Da capitano
l’empatia è fondamentale ma deve essere accompagnata sempre dalla
considerazione di essere un riferimento per dei compagni di squadra con una
fascia di età dai 17 ai 35 anni. Il giocatore, invece, secondo me, per
antonomasia deve avere la forte volontà di andare oltre i propri limiti.
Facendo questo, un giocatore non fa altro che cercare e ricercare di dimostrare
chi sia veramente, al di là delle parole di chi sta fuori dal campo, e di cosa
sia il proprio club, nel nostro caso la Lazio.
Per anni c’è stata la convinzione
che la nostra squadra sia un club molto attento ai giovani, che lavora sul
vivaio, che stimola i propri giocatori affinché intraprendano delle strade
personali di crescita e di lavoro che siano parallele al rugby giocato, con
alcuni giocatori che immaginavano erroneamente che questo significasse non
ambire a risultati di classifica più importanti. Questo è stato uno dei
pensieri più assidui nella mia mente in questi anni: dimostrare che questi
limiti siano errati e portare il più possibile in alto il nome ed i colori di
questa società.
Anche per questo ho deciso di
iniziare ad allenare, convinto di poter provare a svolgere un ruolo di collante
fra le formazioni di giocatori ed il I XV. Tante volte vedo “salire” dei
ragazzi a cui mancano dei passaggi che dovrebbero essere già sviluppati.
Il
momento più bello ed il momento più difficile del tuo percorso rugbistico.
In tutto il mio trascorso rugbistico
direi che il più brutto momento rimanga ancora la finale scudetto Under 20 nel
2011 persa a Livorno contro i Crociati, finita ai calci piazzati nei tempi
supplementari. Quello credo sia stato il momento sportivo più “tosto” per me.
Ricordo che subito dopo la partita non volevo vedere rugby, non volevo parlare
di rugby; al ritorno agli allenamenti con la prima squadra chiesi a Victor
Jiménez se avessi potuto prendermi dei giorni di riposo perché ero veramente
sotto ad un treno. Invece il ricordo più bello è sicuramente il raggiungimento
della salvezza in Top12 contro il Verona due anni fa (s.s. 2018 – 2019). Quello
è stato un momento in cui la volontà delle persone è andata oltre a qualsiasi
pronostico. In quell’occasione si è creata una magia all’interno di quel gruppo
che veniva da un anno difficilissimo e riuscendosi a salvare in un modo,
sicuramente rocambolesco, ma voluto, costruito.
Hai
cambiato diversi allenatori durante il tuo percorso e oggi sei un
allenatore anche tu, in Under 18 e 16; il tuo allenatore “preferito” e perché?
Quando immagino l’Allenatore, ripenso a Victor Jiménez che adesso è a Padova. Lui è stato prima giocatore e poi giocatore – allenatore guadagnando la promozione in Eccellenza nella stagione 2009 – 2010. E’ stata la persona che mi ha formato i primi anni di I XV ma anche già in Under 20. Io al tempo ero un ragazzino e lui ha contribuito a plasmare il modo in cui oggi percepisco e vivo questo lo sport. Sono stati quelli sicuramente anni duri, anni di lavoro ma anche periodi che mi hanno dato molto.
Hai
un gesto scaramantico pre – partita? Se si quale?
Subito prima di entrare in campo
unisco pollice ed indice. E’un gesto che ho imparato durante un corso di
concentrazione, memorizzazione e richiamo delle emozioni, durante il quale ci
hanno consigliato quest’azione per ricentrare il “set”, il focus, centrando
quello che sono i tuoi pensieri e lasciando fuori tutto il resto. Oltre a
questo rituale, devo ammettere di aver utilizzato per sei anni sempre gli
stessi scaldamuscoli fin quando non mi hanno abbandonato.
Un
libro, un film, un’artista musicale.
Per il libro ti direi Il Signore
degli anelli è stato uno dei titoli che io apprezzi maggiormente anche se il
libro che ho letteralmente divorato svariate volte è stato le Cronache del
Ghiaccio e del Fuoco da cui successivamente è stata tratta la serie TV il Trono
di Spade.
Il film assolutamente la trilogia de
Il Signore degli Anelli che ho consumato a forza di rivedere.
Per l’artista musicale ti direi i
Blink-182 che ho ascoltato per tutta la mia adolescenza e che ascolto tuttora.
Un
atleta, uno sportivo che hai sempre ammirato o che ti ha ispirato crescendo e
perché.
Nonostante abbia visto molto più
rugby di altri sport in tutti questi anni, così, su due piedi, ti direi Michael
Schumacher; la domenica pomeriggio da piccolo con mio padre guardavo i gran
premi davanti alla tv e vederlo continuare a vincere per anni con la Ferrari,
portandola nella storia.
Siamo
oltre l’80’, la Lazio perde di 4, siamo nei 22 avversari e l’arbitro fischia
“mani in ruck” a nostro favore. Chiami calcio in touche o giochiamo mischia?
Tralasciando le diverse variabili da
considerare in queste occasioni, direi andiamo in touche.
Già
da due anni, fai parte dello staff della nostra under 18 come
allenatore: un tuo principio di gioco e una lezione che conserverai per
sempre.
Come ho già detto credo fortemente
che per cambiare il nostro gioco servano dei giocatori intelligenti e per
diventarlo, secondo me, oltre ad altre considerazioni, serve sviluppare al
massimo le proprie capacità di adattamento durante il gioco. Credo anche che
allenando si imparino molte cose. Tra questo una nozione che mi rimane è il
contenuto emotivo; se esprimi realmente la volontà di trasmettere ai ragazzi
qualcosa di tuo, allora l’allenamento sarà efficace ed andrà bene.
Quest’anno
ben 9 ragazzi (Matteo Bianco, Marco Colangeli, Christian Calabrò, Valerio
Cordì, Niccolò Evangelisti, Antonio Ferrante, Gabriele Moscioni, Lorenzo
Palmigiani e Leonardo Sodo Migliori) della nostra Under 18 sono stati
selezionati nell’Accademia zonale di Roma facendo in questo modo della
Lazio la Società con più atleti convocati del centro sud. Pensi che vedremo
presto questi ragazzi in prima squadra? E se si ti chiedo se hai pensato ad
aspettare di poterci giocare affianco.
Sicuramente questi ragazzi hanno
molte capacità, molte potenzialità ma sono ancora giovani. Sono sicuro che
ognuno di loro abbia le capacità per arrivare un giorno a giocare in “Prima
Squadra”, così come molti altri loro compagni di squadra. In particolare questi
nove ragazzi hanno la possibilità di fare un percorso di qualità seguiti da
tecnici molto competenti che conosco personalmente. Come giocatore vorrei tanto
riuscire ad aspettare per vedere loro, così come altri ragazzi della nostra
Under 18, approdare in prima squadra, ma non credo riuscirò ad avere questa
bellissima emozione. Diciamo che già per questa stagione una forte emozione me
l’ha regalata Matteo Colangeli, un ragazzo che almeno da ormai due anni, con il
suo debutto con il 1°XV. E’ così bello vedere questi ragazzi cresciuti
nell’ambiente Lazio, che dalle giovanili e attraverso alcuni allenamenti con la
prima squadra, riescano poi a diventare parte del gruppo al 100%.
Nel
2020 e ancora nel 2021 la pandemia globale sta mettendo un freno importante al
rugby giocato, in quasi tutte le categorie, a svantaggio soprattutto dei più
giovani e dei più piccoli che non hanno la possibilità di ritrovare il clima
della sana competizione. Qual è il messaggio che sentiresti di inviargli?
Resistete ragazzi, resistete.
Torneremo a fare quello che ci piace. So che è un momento difficile e “unico”;
non vi nascondo che al posto vostro, forse non sarei riuscito a mantenere la
vostra concentrazione ed a gestire il tutto come lo state facendo voi.
Torneremo a giocare presto, dobbiamo aspettare che questa tempesta finisca.
Il
tuo dream team del rugby.
1. T. Mtawarira (Old Glory DC/ Sud
Africa)
2. J. George (Saracens/ Inghilterra)
3. C. Hayman (rit./ Nuova Zelanda)
4. B. Botha (rit./ Sud Africa)
5. V. Matfield (Northampton/ Sud
Africa)
6. J. Collins (dec./ Nuova Zelanda)
7. D. Pocock (rit./ Australia)
8. C. Mannucci (rit./ Italia) oppure
D. Vermeulen (Bulls/ Sud Africa)
9. A. Dupont (Tolosa/ Francia)
10. J. Wilkinson (rit./ Inghilterra)
11. C. Dominici (dec./ Francia)
12. J. Roberts (Dragons/ Galles)
13. B. O’Driscoll (rit./ Irlanda)
14. C. Kolbe (Tolosa/ Francia)
15. J. Robinson (rit./ Inghilterra)
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