“LA SFIDA COSTANTE CHE MI PONGO
OGNI GIORNO È CERCARE DI MIGLIORARE ME STESSO, CIÒ CHE FACCIO IN CAMPO MA ANCHE
LA MIA PERSONA”
Parma, 9 agosto 2019 – Continua
il conto alla rovescia all’inizio dell’attività agonistica delle Zebre, al via
il 13 settembre con la prima amichevole in casa del Benetton Rugby. Per
l’allenatore dei trequarti Alessandro
Troncon si tratterà della terza stagione consecutiva al fianco dei
coach Orlandi e Bradley, ma sarà anche la quarta in assoluto
avendo il centurione Azzurro già guidato il reparto arretrato della franchigia
federale nel corso del 2012/2013, primo anno di storia per quest’ultima.
[Alessandro Troncon sul prato del Lanfranchi]
Già
assistente allenatore della Nazionale Italiana dal 2008 al 2012 sotto Nick
Mallett e Jacques Brunel, il campione Azzurro ha anche presieduto negli anni
compresi tra il 2013 e il 2017 la panchina della selezione italiana Under 20,
portando gli Azzurrini ad uno storico piazzamento nella “top 8” al termine dei
mondiali di categoria del 2017.
Mediano di
mischia energico, istintivo e carismatico, Troncon è stato in passato una
colonna portante del Benetton Rugby, club con vinse sette campionati italiani,
due Coppe Italia e una Supercoppa italiana nel lungo arco di tempo che va dal
1991 e il 2006, condito anche da una presenza coi mitici Barbarians nel 1997.
Nell’intermezzo, una parentesi nel Mirano Rugby nel 1993/1994 ed un’esperienza
di tre stagioni – dal 1999 al 2002 – in Francia al Clermont Auvergne, ripetuta
poi a fine carriera nel 2006/2007, una volta congedatosi dai colori
biancoverdi.
A coronare
la sua attività di giocatore è stato però uno storico traguardo ottenuto in
Nazionale prima di ogni altro atleta. Il numero 9 trevigiano è stato infatti il
primo Azzurro a scollinare quota 100 caps, chiudendo la sua avventura con la
Nazionale con 101 presenze
ufficiali all’attivo e ben quattro edizioni di Rugby World Cup disputate
(1995, 1999, 2003 e 2007); 2007); record quest’ultimo superato nel 2015 solo
dall’ex compagno e bandiera delle Zebre Mauro Bergamasco. Completano il suo
palmares in Azzurro anche una Coppa Fira (sollevata
nel 1997) e 19 mete
segnate.
Coach, il tuo primo incontro con
le Zebre è stato negli anni ’90 quando sei sceso in campo con lo storico club
ad inviti fondato dall’ex capitano Azzurro Marco Bòllesan. Cosa ricordi di
quell’era prima dell’avvento del rugby professionistico in Italia e che
atmosfera si respirava in squadra? “L’ultima
partita delle Zebre risale al ’97 per cui era già in atto il cambiamento e in
Italia avevamo anche un po’ anticipato quello che poi è diventato il
professionismo che tutti conosciamo. L’atmosfera era sicuramente diversa
rispetto ad oggi ma si cominciava comunque a respirare un clima diverso
rispetto agli anni ‘90”.
Parliamo invece delle Zebre che
quest’estate hanno visto arrivare per la preparazione tanti nuovi giovani
permit players e molti giocatori stranieri d’esperienza: cosa cambia per voi
tecnici e che campionato dobbiamo aspettarci in questa prima parte col mondiale
a settembre? “Abbiamo un numero di giocatori più elevato
rispetto all’anno scorso, di conseguenza anche all’inizio quando la parte predominante
è la preparazione atletica, possiamo svolgerla giocando a rugby. Questo
sicuramente aiuta la squadra. Il fatto poi che il gruppo sia aumentato e che
sia arrivati tanti giocatori di alto livello, sia stranieri e sia italiani,
aiuta la crescita di tutti e alimenta la competizione interna”.
Dopo una prima parentesi nel
2012/13, sei al tuo terzo anno consecutivo alla guida dei trequarti delle
Zebre, ma sei anche una figura di riferimento per gli avanti. Qual è il più
grande insegnamento che vorresti trasmettere ai tuoi giocatori? “Sicuramente
una cosa che tutti i giocatori devono capire e che devono avere è la volontà di
migliorarsi, che passa attraverso un’autocritica quotidiana e costruttiva e
attraverso una continua ricerca di esplorare le proprie debolezze”.
Cosa ti manca del rugby
giocato? “Il rugby giocato è una droga. Mi manca la
dipendenza che ti produce giocare a rugby ad alto livello. Sono cose difficili
da spiegare perché chi non le ha vissute difficilmente riesce a capire cosa
significhi. Adesso mi sono un po’ disintossicato, ma nei primi tempi non è
stato semplice gestire questa nuova situazione”.
Che soddisfazioni hai tratto
invece dalla tua carriera da allenatore e quali sfide ti poni per il
futuro? “La sfida costante che mi pongo ogni giorno è
cercare di migliorare me stesso, ciò che faccio in campo ma anche la mia
persona, dal punto di vista umano e tecnico”.
Sei stato il primo Azzurro a
tagliare il traguardo delle 100 presenze con la Nazionale Italiana. La
leadership è qualcosa di naturale o che si costruisce nel tempo? “La
leadership ha un aspetto umano-caratteriale che tutte le persone hanno o
possono avere. C’è chi questo aspetto ce l’ha più marcato, per cui anche
naturalmente o con poco lavoro può manifestarsi, ma c’è chi questo aspetto ce
l’ha più nascosto, per cui bisogna lavorarci per tirarglielo fuori e farlo
risaltare”.
Com’è stato il tuo sviluppo della
leadership? “Sinceramente non lo so. Io mi sono trovato
ad essere me stesso e, un po’ per il ruolo che ricoprivo e un po’ per il
carattere che ho, dicono che sia stato un leader. Sono stato semplicemente me
stesso, forse è un aspetto del mio carattere che è particolarmente marcato per
cui non c’è voluto molto per farlo risaltare. Ho fatto semplicemente Troncon
Alessandro”. (Simone Del Latte)
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