L'INDUSTRIA DEL LIVE RIPARTIRÀ QUANDO SARÀ FINITA LA PANDEMIA
Dopo
l'esperienza del Primavera Sound che ha fatto un concerto/test per dimostrare
che con tutte le misure di sicurezza non ci si contagia a un concerto, abbiamo
sentito qualche operatore del settore per capire se la formula è esportabile in
Italia. Spoiler: sembra proprio di no
È un sacco di tempo che non andiamo a un concerto vero. Durante l'estate 2020, i più fortunati hanno potuto assistere a live visti da seduti, distanziati, con mascherina e
termometro all'ingresso, con capienza ridotta e nessuna possibilità di
contatto. Per quanto eventi di questo tipo siano stati salvifici, l'esperienza
di un concerto com'eravamo abituati a vivere prima della pandemia sembra ancora
piuttosto lontana.
Uno spiraglio di luce viene da Barcellona,
storica patria del Primavera Sound,
la cui organizzazione ha fatto un test lo
scorso 12 dicembre per vedere cosa succederebbe se mettessimo 463 spettatori nella sala Apolo (che ne dovrebbe contenere 900),
tutti sottoposti a un test antigenico rapido (ovviamente negativo) e tutti con
la mascherina FFP2. Nessuno degli spettatori sarebbe contagiato, e sulle
prime avremmo potuto festeggiare. Carlo Pastore,
direttore artistico del MI AMI Festival,
ci invita, però, a fare un passo laterale:
"Il test di Barcellona è importante, ma
bisogna superare il titolo e leggere la notizia. Anzitutto è
stato effettuato in un locale la cui capacity è
il doppio della gente fatta effettivamente entrare. Le prerogative erano
stringenti: non dovevi avere comorbilità, non essere in contatto con anziani,
eccetera. Il grado di attenzione era massimo, il monitoraggio molto attento
(cosa che a regime "normale" avviene con maglie estremamente più
larghe). A queste persone sono state fatti tre tamponi. Ora immaginate questo
approccio allargato a migliaia (nel caso di grossi club) o decine di migliaia
di persone (nel caso di festival). Fra materiale
sanitario e personale, i costi salirebbero a dismisura e
il tempo necessario per gli ingressi sarebbe infinito (dai 3 ai 5 min a
persona). Per non parlare dell’impegno personale che ogni spettatore dovrebbe
prendersi. Mi sembra poco sostenibile",
dice Carlo.
E continua: "Vedo, inoltre, davvero difficile che la gente mantenga la mascherina addosso sempre, in un contesto in cui l’obiettivo è divertirsi, dunque, in qualche maniera, 'abbassare le difese'. Per quanto ci tenga a ringraziare sempre e fortissimamente il Primavera Sound per ciò che fa e la voglia con cui combatte questa importante battaglia, il realismo mi porta a pensare che al momento la maniera in cui ci divertivamo prima risulti non praticabile nel breve. Questo però non toglie che i concerti seduti, soprattutto all’aperto, non si possano fare. Anzi. Si devono fare".
È
dello stesso avviso anche Lorenzo Rubino del Circolo Magnolia di
Milano: "Per testare la totalità dei partecipanti nella realtà, oltre ai
tamponi da eseguire, bisognerebbe tener
conto la presenza costante di personale medico qualificato che certifichi il
corretto svolgimento sanitario dell'evento. I costi per
un’operazione del genere, al momento, non sono sostenibili da nessuna delle
realtà indipendenti (se così vogliamo chiamarle) che noi conosciamo. E alle
quali, come Magnolia, anche noi apparteniamo".
Abbiamo sentito anche Toto Barbato del The Cage Theatre di
Livorno sullo stesso tema, che loda l'iniziativa di Barcellona e dice: "Quando ripartirà l'industria del live mondiale, vorrà dire che la
pandemia sarà finita, e con tutta probabilità saremo gli ultimi a riaprire.
Per lo stesso motivo per cui anche quando siamo in zona gialla i teatri e i
cinema sono comunque chiusi. È un fatto culturale, psicologico, ci vorrà ancora
del tempo. La prossima estate sarà una stagione di
possibilità di live, ma ancora con restizioni. Magari meno
drastiche rispetto a quelle dell'anno scorso – e questo sarebbe positivo perché
significa che i vaccini stanno facendo effetto –, ma comunque di certo non sarà
un 'liberi tutti'. Scordiamoci gli
stadi".
È ancora
sostenibile la musica senza il supporto del live? Ci sono vari aspetti da evidenziare. Il primo è quello
emotivo/psicologico, come ci spiega Rubi del Magnolia: "Personalmente
ragionavo sul fatto che l’ultima volta che abbiamo visto un concerto o fatto
una serata 'normale' senza limitazioni, è talmente indietro nel tempo, che non
ce la ricordiamo più. E, sempre per opinione personale, meno ti ricordi di qualcosa, meno ne sentirai la mancanza. E questo
comincia a fare un po' paura. Sono convinto che quando
torneremo a una forma di normalità, tornerà la voglia di uscire, dei concerti e
della musica. Ma non sarà immediata e non ho nemmeno idea di quando questa
normalità possa arrivare".
Toto del The Cage si
preoccupa per gli artisti: "C'è la
percezione da parte del pubblico che i cantanti siano pieni di soldi e
possano stare quanto vogliano senza lavorare, ma non è vero. Per molti, un anno di inattività live crea
problemi economici non indifferenti. Per quelli come me – che oggi vengono
chiamati lavoratori dello spettacolo –, finché arrivano i ristori riusciamo a
sopravvivere, ma tutto dipende dalla disponibilità di fondi pubblici".
Col format Niente di strano, Carlo Pastore ha creato una delle tante
alternative alla muscia dal vivo, e con lui parliamo del fenomeno dello
streaming dei concerti: "Capire il senso e la sostenibilità dei live in
streaming oggi è alquanto complesso, perché è un momento di transizione in cui
convivono forme ibride e molti esperimenti, ma anche troppe cose fatte male. Posso
dire che la mia esperienza con Niente di Strano, il format acceso
da BuddyBank e dal servizio streaming Hi-Fi Tidal, è stata estremamente positiva".
La seconda stagione è avvenuta all'Alcatraz, un tempio della musica live milanese, chiuso per pandemia: "Abbiamo riacceso la musica dove per troppo tempo è stata spenta. Il format prevedeva live e interviste, concerti e chiacchiere. Si tratta fondamentalmente di un'ora di varietà basato sulla naturalezza e l'autenticità. I numeri sono stati incredibili, direi dieci volte rispetto all'anno prima: questo a significare che c'è voglia", dice Carlo, e continua: "Le nostre puntate andavano in onda gratuitamente su YouTube, dunque in questo caso è necessario parlare di branded content, anche se pensato come prodotto di community marketing. Esistono decine di altri modi e vedo che anche gli artisti italiani stanno iniziando a vendere i propri concerti digitali, ma il mercato è ancora troppo piccolo per poterne fare un bilancio o per ipotizzarne uno sviluppo. Siamo ancora nella fase pionieristica dei tentativi individuali".
Flavia Guarino di OTR Live riprende il discorso:
"Sicuramente l’ultimo anno ha
mostrato nuove forme di business per il mercato. Prima tra
tutte quella relativa al rapporto coi brand (e di conseguenza agli adv) e dell’influencer marketing, che ha riportato al contempo in auge
forme che credevamo obsolete (synch e publishing tra
tutte). Ma non riesco a pensare a una music industry senza la
componente live, sia per un discorso di revenue per la filiera e per l’artista, sia per un
discorso di fruizione".
Matteo Zanobini di Picicca chiosa: "Le esperienze che abbiamo fatto di streaming sono state positive, ma
sono state sostenute da soldi pubblici e gli incassi di tali eventi sono
lontanissimi da quelli degli eventi normali, quindi non
potrebbero assolutamente sostenere la filiera. Il pubblico in questo caso ha
tantissime possibilità di intrattenimento in streaming e non tutti i fruitori
di concerti live scelgono l'opzione del concerto visto al computer. Per quanto
banale sia, siamo a 10 mesi dall'inizio dell'emergenza sanitaria e dalla fine delle
attività live: quanto prima
troveremo un accordo col Governo per far ripartire l'industria, meglio sarà per
tutti quelli che ci lavorano".
Nessun commento:
Posta un commento