Qualche
giorno fa mi imbattei, navigando per i mari di facebook, in una fotografia che
mi colpi’ per la profonda carnale bellezza che esprimeva quella prima linea
formata da Raffaele Sorrentino, Enzo di Grazia e Salvatore Amato. Possente,
maschia e nello stesso tempo maledettamente umana, affascinante come solo il
rugby di una volta sapeva essere. Così mi decido a contattare proprio Salvatore
Amato, l’unico dei tre compari di prima linea che non ho mai avuto il piacer e
l’onore di incontrare, pur conoscendolo già da molto tempo grazie ai racconti
ascoltati da quando vivo a Napoli e respiro rugby. Come i bambini con i
cantastorie nella mia Sicilia di tanti anni fa quando nella loro immaginazione
vivevano personaggi come l’Orlando Furioso o il Feroce Saladino, dopo averne
ascoltato le gesta a piu non posso.
“….quella prima linea è la testimonianza di un rugby durissimo sia sui
campi che giorno per giorno, senza pietà, sia sportivamente che umanamente……le
espressioni stremate dei visi fanno intuire che la foto si riferisce ad un
match, comunque vinto, nel quale abbiamo incontrato buon pane per i nostri
denti. I tempi erano difficili, davvero difficili, il rugby ancora non
immaginava che dopo poco ci sarebbe stata la rivoluzione totale del
professionismo……e un gruppo di veri “scugnizzi”, casualmente dotati dal destino
di fisici tuttora non riscontrati, di energie e di passione mai più rivisti ,
di grinta e spesso della necessaria “corretta violenza” per affrontare il rugby
a certi livelli…..e contemporaneamente lo stesso destino si riprendeva tutto
creando negli anni 80 e 90 squadre avversarie tuttora ancora non raggiunte in
tecnica e forza…..pertanto a noi nulla è mai stato regalato, ad esempio a me
personalmente parlano con chiarezza oltre 60 punti di sutura sul viso e ben 130
sul cranio……
altro rugby,altre regole, altro coraggio , altro orgoglio….per me il rugby
è stato ed è tutto, senza inutili giri di parole….non appena ci saranno le
condizioni ci ritroveremo per parlare della storia del rugby napoletano, che
dopo quella degli scudetti, non ha nulla da invidiare anche se i risultati sono
stati inferiori……ma gli uomini , circa 35-40 giocatori, hanno sempre tenuto in
alto il nome Partenope Rugby”.
Le parole
nette e un po’ nostalgiche di Salvatore Amato rendono l’idea di come il rugby,
come le varie dimensioni della nostra società, sia totalmente radicalmente
cambiato. Il rugby a quei tempi era solo per chi lo giocava, senza alcuna
visibilità mediatica, solo passione e follia. Una sorta di setta carbonara che
praticava questo selvaggio rito in modo incomprensibile per la società
“normale”.
Oggi il rugby
è diventato cool, una tendenza attraente, soprattutto per sponsor e media.
Ma a noi
interessa portare avanti un progetto ben chiaro, rendere la Partenope Rugby un
punto di riferimento per i giovani e le famiglie di Napoli, un club nel
quale chi pratica il rugby vive in una comunità fatta di valori e di
regole. E’ una nave che consente ai ragazzi di avere una navigazione sicura e
ricca di esperienze positive, lontana da sirene pericolose.
Alla prossima
storia Partenope.
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